Energia dai rifiuti
Combustibili Solidi Secondari
Nel quadro della strategia waste-to-energy ritroviamo i cosiddetti combustibili solidi secondari (CSS), ottenuti da rifiuti non pericolosi e utilizzati per il recupero di energia in impianti di incenerimento (anche chiamati termovalorizzatori). Il range di rifiuti impiegato è molto ampio e comprende residui esclusi dai processi di riciclo, rifiuti dell’industria e della distribuzione, fanghi della depurazione delle acque, rifiuti industriali pericolosi, scarti di biomasse, ecc. Questi devono essere trattati adeguatamente per poter soddisfare i criteri, le normative e le specifiche industriali atte a raggiungere un potere calorifico adeguato per l’utilizzo come CSS. Uno dei metodi meno costosi e più affermati per produrre i CSS è il pre-trattamento meccanico biologico (mechanical biological pre-treatment, MBT).
In un impianto MBT si separano dagli RSU i metalli (che vengono riciclati) e gli inerti (ad esempio il vetro) e le frazioni organiche (che vengono inviate agli impianti di compostaggio, con o senza una fase di digestione anaerobica), scegliendo le frazioni con un potere calorifico più elevato per la produzione di CSS. Altre soluzioni, oltre al MBT, sono la biostabilizzazione e la bioessiccazione del materiale, precedentemente privato di metalli e inerti, dove la frazione organica viene stabilizzata e perde parte dell’umidità, ottenendo una frazione finale con un potere calorifico più elevato, adatta alla combustione e composta da carta e cartone, legno, plastica e tessili che possono essere bruciati direttamente. Il prodotto ottenuto durante i trattamenti può essere utilizzato come CSS solo se possiede determinate caratteristiche e in particolare un potere calorifico inferiore di almeno 15 MJ e un’umidità del 25%. Quali sono attualmente gli usi del CSS? Le possibilità sono molteplici tra cui: alimentare termovalorizzatori, cementifici, centrali termiche per il teleriscaldamento, impianti siderurgici, centrali termoelettriche a carbone, ecc. e, a seconda dell’impianto, sono utilizzati sia come unico combustibile sia come combustibile ausiliario. Il CSS può essere ottenuto anche dalla sterilizzazione dei rifiuti sanitari a rischio infettivo qualora condotta in determinate condizioni e con particolari tecnologie.
Energia Rinnovabile
Biogas
Buccia di mela, lisca di pesce, pasta avanzata e una manciata di scarto di mais. No, non è qualche strana ricetta segreta, ma sono solo alcuni degli elementi necessari per la produzione di un combustibile molto particolare, il biogas. Il biogas è un gas, ma, a differenza del metano estratto dal sottosuolo, viene prodotto dalla decomposizione della materia organica (l’umido dei nostri rifiuti), reflui civili e zootecnici, biomasse agricole, ecc. in condizioni di anaerobiosi, ovvero in assenza di ossigeno molecolare (O2) o legato ad altri elementi (ad esempio come nel caso dell’azoto nitrico NO3–). Il concetto è simile a quello della produzione del compost, dato che si tratta di decomposizione di materia organica, ma i prodotti e le modalità con cui ciò viene realizzato sono differenti.
I principali prodotti della reazione sono metano e anidride carbonica ed è la presenza del primo che rende il biogas adatto per essere utilizzato come combustibile. A differenza, però, del tradizionale gas metano, il biogas è una risorsa energetica rinnovabile, derivante da materiale di scarto che può essere purificato per ottenere biometano da immettere nella rete del gas metano o direttamente utilizzabile per l’autotrazione; produrre energia elettrica e termica tramite motori cogenerativi da immettere nella rete elettrica nazionale o di teleriscaldamento, o per autoconsumo. Il trattamento realizzato è denominato anaerobico ed è finalizzato alla stabilizzazione del materiale organico, alla produzione del biogas e al recupero del materiale di scarto in appositi reattori chiusi, detti digestori. Questo trattamento prevede l’accelerazione di un fenomeno naturale a mezzo di apporto di calore e miscelazione continui del materiale e il controllo di importanti parametri di processo, come pH, temperatura, contenuto di solidi, acidi grassi volatili e alcalinità. L’intervallo di attività biologica è ampio, compreso tra i -5° e +70°C, a opera di tre differenti classi di microrganismi anaerobici, ciascuna attiva in un certo intervallo di temperatura. Inizialmente il processo di digestione anaerobica aveva il solo scopo di stabilizzare il materiale organico mentre, attualmente, si realizzano impianti industriali per la produzione di biogas; a partire, come già accennato, da acque derivanti dall’industria agro-alimentare, fanghi degli impianti di trattamento delle acque reflue, deiezioni animali, biomasse di natura agricola, residui organici industriali e la frazione organica dei rifiuti urbani. La produzione del biogas avviene, naturalmente, anche nelle discariche, per questo una discarica gestita correttamente ne prevede la captazione e il riutilizzo, sia per il recupero con produzione di energia elettrica e termica, sia per evitare la dispersione in atmosfera sia per evitare il rischio di incidenti.
Diversi i benefici:
- Il biogas è una fonte energetica rinnovabile prodotta a partire da rifiuti, quindi offre una possibile soluzione sia dal punto di vista energetico, che ambientale
- Si evita la produzione e rilascio di metano in atmosfera
- Il ciclo di produzione del biogas è definito carbon neutral, perché l’anidride carbonica contenuta in esso è la stessa anidride carbonica precedentemente fissata dalle piante, e non viene realizzata ex novo come avviene tramite la combustione di petrolio o carbone
Recuperare Energia
Termovalorizzazione
Cosa fare di tutti i rifiuti per cui non è possibile il recupero di materia? Secondo la piramide gerarchica dei rifiuti l’opzione preferibile è la termovalorizzazione, ovvero un processo di termodistruzione, con recupero di energia e/o calore e con produzione residuale finale di ceneri da conferire successivamente in discarica per la corretta chiusura del ciclo. In un termovalorizzatore, o inceneritore, i rifiuti vengono bruciati per sfruttare il contenuto calorifico degli stessi (si ricordi, per esempio, che la plastica viene prodotta a partire dal petrolio e pertanto possiede un potere calorifico alto), generare calore, riscaldare acqua per produrre vapore al fine di ottenere energia elettrica. Tale energia può essere utilizzata, quindi, per produrre calore, per produrre elettricità o per la produzione combinata di calore e elettricità (cogenerazione).
La termovalorizzazione, inoltre, permette di ridurre la massa dei rifiuti dell’80-85% e il loro volume di circa il 96%. Fino a circa 20 anni fa i rifiuti venivano bruciati solo per ridurre il loro volume e renderli inerti, senza alcun recupero di energia, ma oggi la situazione è radicalmente diversa e gli ingegneri, i ricercatori e i tecnici studiano costantemente come migliorare dal punto di vista tecnologico questi impianti, rendendoli sempre più sicuri ed efficienti. In molti paesi, la termovalorizzazione è una soluzione impiantistica già consolidata. Ma cosa viene bruciato dei RSU? La frazione “combustibile” è costituita principalmente da carta, plastica, umido (erba e legno, scarti alimentari) e da un punto di vista energetico i rifiuti possono essere in qualche modo equiparati ai combustibili fossili, dato che si tratta di materiale organico con al suo interno elementi ossidabili (carbonio e idrogeno). Il processo di termovalorizzazione è complesso e coinvolge diverse reazioni chimiche, il cui risultato è sensibile alle condizioni operative utilizzate, tecnologie e processi sviluppati appositamente per i RSU, con le possibili soluzioni operative:
· combustione diretta, in cui i rifiuti vengono bruciati e l’energia termica del calore viene trasferita a un vettore termico (vapore d’acqua);
· conversione in un combustibile intermedio liquido o gassoso, mediante pirolisi o gassificazione. La combustione avviene all’interno di forni appositi ed è articolata in 4 fasi: riscaldamento ed essiccamento, pirolisi, combustione e/o ossidazione parziale, combustione e/o gassificazione del materiale carbonioso. Oltre al calore sprigionato dalla combustione, vengono prodotte ceneri ed emissioni gassose; entrambe richiedono opportuni trattamenti per ridurre il loro carico inquinante e poter essere rilasciate nell’ambiente senza rischi per la salute. Il calore sviluppato dalla combustione dei rifiuti viene recuperato e utilizzato per produrre vapore. A sua volta, il vapore generato aziona una turbina che, accoppiata a un alternatore e un motoriduttore, converte l’energia termica in energia elettrica; in alternativa il vapore sarà usato come vettore di calore. Quanta energia otteniamo bruciando i rifiuti? I rendimenti di un termovalorizzatore sono comunque inferiori a quello di una centrale elettrica tradizionale, dato il basso potere calorifico dei rifiuti: l’efficienza è quindi variabile e si aggira tra il 17% e il 25% (si arriva anche al 30% circa nei cicli più spinti), ma aumenta con il recupero del calore oltre il 50%, producendo indicativamente 0,67 MWh di elettricità e 2 MWh di calore per teleriscaldamento per tonnellata di rifiuti trattata. Ciò non ha impedito ad alcune città di utilizzare questa soluzione impiantistica per ottimizzare la loro richiesta di energia e lo smaltimento dei propri rifiuti, come avviene ad esempio nelle città di Oslo, Parigi, Vienna e Copenaghen.