La normativa di riferimento
Gestione dei rifiuti e legislazione
Fino agli anni ‘70, i rifiuti erano raccolti in modo indifferenziato e smaltiti in maniera incontrollata. (In alternativa allo smaltimento diretto dei rifiuti nel suolo, si utilizzava il trattamento termico o incenerimento). L’emanazione di leggi che regolamentassero lo smaltimento dei rifiuti in Italia risale agli anni ‘80. In attuazione delle direttive CEE n. 75/442 in tema di rifiuti, n. 76/403 sullo smaltimento dei policlorobifenili e policlorotrifenili e n. 78/319 riguardante i rifiuti tossici e nocivi veniva, infatti, emanato il D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915, fatto subito oggetto di ripetuti interventi correttivi. Successivamente venne emanato il Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, (il cosiddetto “Decreto Ronchi”) recante disposizioni in attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio. Tale decreto ha rappresentato una svolta nella legislazione di tutta la normativa riguardante i rifiuti, introducendo anche un sistema più equo di tassazione per la produzione dei rifiuti, nonché il cosiddetto principio del “Chi inquina, paga”. Risale a questo periodo, anche la diffusione in Italia del concetto di riciclaggio e di recupero dei materiali attraverso la raccolta differenziata. Attualmente il Decreto Ronchi è stato superato e abrogato dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006 (T.U. Ambiente) e sue successive modifiche ed integrazioni. Una delle modifiche più importanti è avvenuta con l’emanazione del Decreto Legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 – in vigore dal 25 dicembre 2010 – che ha recepito nell’ordinamento italiano la Direttiva Europea 2008/98/CE sui rifiuti.
La direttiva stabilisce come devono essere gestiti i rifiuti all’interno della Comunità. L’obiettivo primario della direttiva è proteggere l’ambiente e la salute umana, attraverso la prevenzione dei potenziali effetti negativi e pericolosi derivanti dalla produzione e dalla gestione dei rifiuti. Secondo la direttiva, una maggiore protezione dell’ambiente richiede la realizzazione di una serie di misure, applicabili per ordine di priorità: 1) prevenzione del rifiuto; 2) preparazione per il riutilizzo; 3) riciclaggio; 4) recupero di altro tipo (per esempio di energia); 5) smaltimento. Ciò significa che innanzitutto bisogna pensare a prevenire il rifiuto, evitando (se possibile) di produrlo; se proprio questo non è possibile, si prendono adeguati (ambientalmente ed economicamente sostenibili) provvedimenti per riutilizzarlo, dopodiché si procede al riciclaggio e così via. Ogni Stato membro della Comunità Europea può attuare ulteriori misure legislative per rafforzare (rendere più rigorosa) questa gerarchia, ma l’importante è che venga sempre garantita la salute umana e venga rispettato l’ambiente. Chiunque produca o detenga un rifiuto è obbligato a provvedere al suo trattamento, oppure deve consegnarlo a qualcun altro incaricato e autorizzato a farlo. In particolare, lo stoccaggio e il trattamento di rifiuti pericolosi deve seguire un codice ancora più severo di smaltimento rispetto ai rifiuti non pericolosi, per evitare qualsiasi rischio per la salute umana e per l’ambiente. Dal momento, inoltre, che la produzione di rifiuti, con lo sviluppo del processo di industrializzazione e del conseguente livello di benessere diffuso, tende ad aumentare in Europa, la normativa invita a rafforzare le misure in materia di prevenzione e riduzione degli impatti correlati e a incoraggiare il recupero dei rifiuti.
Il D.P.R. 915 del 10 settembre 1982, emanato in attuazione delle direttive CEE n. 75/442 (relativa ai rifiuti pericolosi), n. 76/403 (relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili) e n. 78/319 (relativa ai rifiuti in generale) è un dispositivo “quadro” nel quale sono affermati:
- i principi generali da osservare;
- la classificazione dei rifiuti;
- le competenze attribuite allo Stato (indirizzo e coordinamento), alle Regioni (pianificazione, rilascio autorizzazioni, catasto rifiuti ed emanazione di norme specifiche), alle Province (controllo) ed ai Comuni (smaltimento dei rifiuti solidi urbani);
- i criteri generali di regolamentazione dell’attività di smaltimento dei rifiuti;
- le disposizioni fiscali, finanziarie e sanzionatorie.
Il sistema introdotto da tale Decreto si fondava sulla gestione del rifiuto mediante l’attività di eliminazione dello stesso senza valorizzarne la possibilità di riutilizzo e riciclo. Per questa e per altre ragioni i diversi Governi fecero ricorso a reiterati interventi d’urgenza, finalizzati a limitare la produzione dei rifiuti e favorire quelle attività di gestione del rifiuto che il D.P.R. 915/1982 aveva trascurato di promuovere. Con il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, (il cosiddetto “Decreto Ronchi”) recante disposizioni in attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio, il legislatore, prendendo le mosse dall’esigenza di attuare nel nostro ordinamento giuridico le nuove direttive europee, ha tentato un riordino dell’intera normativa.
Il Decreto Ronchi definiva il rifiuto come “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”. In primo luogo, questa definizione presuppone che qualsiasi merce sia destinata, prima o poi, a diventare un rifiuto. In secondo luogo, si evince che la trasformazione da merce a rifiuto dipende soprattutto dalla volontà di chi detiene il rifiuto. I rifiuti sono classificati, secondo la loro origine in rifiuti urbani e speciali nonché, sulla base della caratteristica di pericolosità in rifiuti pericolosi e in rifiuti non pericolosi.
A titolo esemplificativo, nei rifiuti urbani sono rinvenibili quelli domestici, quelli provenienti dallo spazzamento delle strade o quelli vegetali provenienti da aree verdi, mentre tra quelli speciali la normativa elenca i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, lavorazioni industriali, recupero e smaltimento.
Rivolgendoci invece alla gestione del rifiuto, è bene ricordare che qualsiasi trattamento porta solo a una trasformazione del rifiuto e/o a un suo trasferimento da uno stato fisico a un altro ma, in nessun caso, a una sua distruzione (legge di conservazione della massa). Quindi, il comportamento più sostenibile in materia di rifiuti è la riduzione a monte, che consiste nel produrne il meno possibile cercando di utilizzare ogni cosa più volte (come accadeva in passato). È basandosi su questi principi che il Decreto è stato scritto. Per il conseguimento di questi obiettivi, risulta fondamentale la sensibilizzazione dei cittadini e dei produttori. Ove non sia possibile una riduzione a monte o un riutilizzo dei materiali, è necessario differenziare i rifiuti che non possono essere recuperati da quelli che possono essere avviati al riciclaggio.
Il D.Lgs. 152 del 2006 è entrato in vigore il 22 Aprile del 2006, abrogando contestualmente il Decreto Ronchi. La gestione dei rifiuti è oggetto della parte quarta del D.Lgs. 152/2006 che, in attuazione della Direttiva 2008/98/CE, prevede misure volte a “proteggere l’ambiente e la salute umana”, con la finalità di prevenire e ridurre gli “impatti negativi della produzione e della gestione dei rifiuti” e quelli concernenti l’utilizzo delle risorse.
La gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse per cui essi devono essere organizzati senza mettere in pericolo la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente. Sul punto, nel testo attualmente vigente, l’articolo 177, comma 4, prevede che tale gestione deve avvenire:
- senza determinare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, nonché per la fauna e la flora
- senza causare inconvenienti da rumori o odori
- senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente
L’articolo 178 elenca, a tal proposito, i principi sulla base dei quali si deve effettuare la gestione dei rifiuti che deve appunto avvenire conformemente ai criteri di precauzione, prevenzione, sostenibilità, proporzionalità, responsabilizzazione e cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nonché del principio che “chi inquina paga”.
L’articolo 179 prevede in ogni caso una gerarchia, ossia un ordine di priorità nelle opzioni ambientali, messe a disposizioni da Stato, regioni, province ed enti locali, che è la seguente:
- prevenzione
- preparazione per il riutilizzo
- riciclaggio
- recupero di altro tipo (ad esempio, il recupero di energia)
- smaltimento
Ciò vuol dire che, nel rispetto dell’anzidetto ordine, devono essere adottate tutte le misure volte a incoraggiare le scelte che garantiscono il miglior risultato complessivo, tenendo altresì conto degli impatti sanitari, sociali ed economici.
Con riferimento al delicato settore del riciclaggio, l’articolo 181 prevede che, sulla base delle indicazioni fornite dal Ministero dell’Ambiente, le Regioni stabiliscono i criteri con i quali i comuni devono provvedere a realizzare la raccolta differenziata. La normativa impone inoltre agli enti competenti di adottare tutte le misure necessarie per conseguire, entro il 2020, l’aumento del 50% della preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di rifiuti quali carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai nuclei domestici e del 70% della preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materiale, di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi. Per quanto concerne, infine, lo smaltimento dei rifiuti, esso deve essere effettuato in condizioni di sicurezza e costituisce la fase residuale della gestione dei medesimi, previa verifica, da parte della competente autorità, dell’impossibilità tecnica ed economica di esperire le operazioni di recupero. Per tale ragione, i rifiuti da avviare allo smaltimento finale devono essere il più possibile “ridotti” sia in massa che in volume, potenziando la prevenzione e le attività di riutilizzo, di riciclaggio e di recupero e prevedendo, ove possibile, la priorità per quei rifiuti non recuperabili generati nell’ambito di attività di riciclaggio o di recupero.